20160302

Ecologie


L’Europe et l’Ecologie
Sam Durand

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“ Il futuro non é quello che succede ma quello che facciamo” scriveva Bergson.

In questo breve articolo, primo di una serie di tre, proponiamo al lettore una riflessione sul cambiamento climatico e sulle sue caratteristiche in quanto opera dell’uomo, pensandolo come una nuova era che noi umani abbiamo costruito senza tener conto della nostra responsabilità : l'avvenimento antropocentrico come l’ha chiamato Crutzen.

Partendo di qua, proponiamo dunque di osservare il cambiamento climatico globale come un processo di crisi: crisi dei valori, crisi della politica e dell'etica individuale.



Mantenendo il loro ruolo di esperti, i filosofi, gli economisti, i militanti e altri ancora non si oppongono tanto sul livello strutturale dei problemi (evidenti), ma piuttosto su questioni molto più profonde, legate al valore da dare agli esseri. Su questa base, gli antropocentristi pensano solamente al valore dell'uomo, i biocentristi al valore - intrinseco e non instrumentale - di tutti gli esseri viventi, mentre gli ecocentristi considerano centrale il valore dell'ecosistema in sé, includendo anche le cose inanimate come i sassi.

Oggi una grande parte delle persone che si sentono implicate in questa causa si oppongono ad un approccio antropocentrista. Ciò nonostante, si deve sottolineare l’aspetto pragmatico di questa prospettiva che permette alla massa di consumatori di capire la 'tragedia dei comuni', offrendo loro in questo modo la possibilità di vedere il futuro prossimo, un futuro in cui la consumazione (potere) perpetuale deve essere rimessa in dubbio di fronte ad un’evidenza morale : siamo noi, uomini, individui consumatori i responsabili del disaggio causato ad un ambiente che non è eterno.

Per queste ragioni possiamo parlare di una crisi dei sistemi di valori : l'approccio antropocentrista è il più pragmatico, ma sicuramente non quello da scegliere per quanto riguarda la morale ; gli approcci biocentrista e ecocentrista sono più giusti moralmente, però sono meno pragmatici, non sembrano realizzabili a causa della nostra stessa mentalità eccentrica e profondamente egoista. Le domande più importanti a questo punto non sono più tanto legate a “che cosa ha importanza” ma bensì a “che cosa possiamo fare”.

Possiamo allora riprendere questo problema con una prospettiva nuova: oggi il 95% dei cittadini europei vede il cambiamento climatico, il rispetto della natura e la protezione dell’ambiente come “personalmente importanti”[1] (e si dovrebbero teoricamente sentire anche“personalmente implicati" nella risoluzione del problema).

Ma in pratica, purtroppo, le cose vanno in un altro modo. Lo scorso anno abbiamo assistito alla COP21 di Parigi ed è evidente che la difficoltà principale risiede nella mancanza di presa di decisione: il pubblico ha assistito una volta di più alla non volontà delle classi politiche di trovare una soluzione reale, una volta di più hanno vinto le “lobby”.

Contro questa mancanza si oppongono gli europei coinvolti. Ma quanti lo fanno davvero? Possiamo vedere una volta di più un asimmetria tra la volontà popolo e quello che fanno le classi politiche. Esiste anche una seconda asimmetria tra certe idee della modernità da un lato, come l’uberizazzione, e il capitalismo-consumistico spinto dal liberalismo.

Ma se il 95% degli europei vedono queste cause come “personalmente importanti”, perché esiste ancora una crisi ambientale e politica ?

Tra la diminuzione della “consumazione responsabile” dei francesi, che ammettono di pensarci solo perché si sentono costretti, ed un consumo che si basa in maggioranza sul rapporto qualità-prezzo secondo la ricerca Ethicity, vediamo ovviamente che gli europei vedono l’ambiente “personalmente importante” quando ci guadagnano economicamente. Per questa ragione, possiamo pensare che la prima asimmetria descritta rappresenti veramente non un’asimmetria tra quello che vuole il popolo e la pratica delle classe politiche, ma tra quello che sono economicamente spinti a fare e quello che vogliono essere incitati economicamente a fare.

In questo caso, vediamo come le incitazioni economiche possano andare contro il senso della propria etica individuale: i popoli si pentono di consumare non responsabilmente però continuano comunque ad agire contro le proprie convinzioni. Qui si nidifica un problema a livello morale sulla responsabilità di ognuno a fare quello che gli sembra giusto. Si può anche capovolgere questo problema in una maniera più pragmatica e considerare che i popoli hanno molte ragioni per agire in funzione delle incitazioni economiche, ragioni che danno loro il diritto di decidere cosa vogliono essere spronati a fare, un diritto che dovrebbe permetter loro di imporre, prima dell’azione, un’etica capace di includere i problemi futuri, per esempio quelli legati all'ambiente. La città di Copenaghen ne rappresenta oggi un esempio nitido.

Ma come si può spiegare che il 95% delle personne senta questi temi « personalmente importanti » che la stessa percentuale non provi a fare più sforzi per cambiare la situazione ? Come spiegare il mancato tentativo di cambiare le incitazioni con il loro potere di consumazione ? Proveremo a rispondere alle suddette interrogazioni nel prossimo articolo di questa serie.

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Bergson wrote: “The Future does not reside in what will happen but in what we shall do.”

Confronted as we are today to an inexorable global climate change, there seems to be no better phrase to define the situation. Henceforth considering Man’s responsibility as an established fact, particularly through Crutzen’s work and his proposal to think the upcoming climate period as the Anthropocene because of our sense of guilt (but also that of Jonas), then should arise a new question about the “who” and “how”.

We propose in the following paragraphs to address the issue of the ecological crisis as a crisis of values, politics and individual ethics.

As all genuine thinkers, philosophers, economists, activists and scientists diverge greatly in their analysis, not in a structural but indeed in an essential way, even though a large majority agree at least upon Man’s responsibility in the global climate change. Accordingly, some are anthropocentrists, others are biocentrists (granting an intrinsic value to all living entities), or ecocentrists (granting an intrinsic value to all ecosystems including non-living entities).

However, the anthropocentrist approach cannot be challenged without pragmatic thinking. But ultimately and for two reasons, this approach seems the most likely to gain attention among our fellowmen. First of all, there is no evidence that the majority can evade this paradigm which weighs heavily upon the very structures of our way of thinking and living. Secondly, yet consistently, how can a large community of people who have always lived as virtually unabashed capitalists be convinced that they have obligations towards an abstract entity that nurtures them and is called Nature? How can Man, a selfishly rational and self-centered creature, be drawn to action by such an argumentation?

In such a context, the pragmatic interest of the anthropocentrist approach, which consists in maintaining our planet in a state allowing Man to survive, should be acknowledged.

To this extent, this argumentation seems far more convincing to the great number of consumers who feel more directly concerned when their purchasing power is at stake than when their daily ethics are called for on moral grounds.

That is the reason why it seems we may indeed speak of a crisis of values. Gardiner has also highlighted this when he states that the global climate change represents a “perfect moral storm”. Therefore, while tackling such questions with a pragmatic approach seems to be the most conclusive - in so far as it opens up directly on evolution and not just on a sterile debate based upon a choice between divergent values - it may however be deplored that such an approach cannot possibly curb this crisis of values as it circumvents rather than addresses it.

Yet, what does or can do Europe as it faces such a crisis as the global climate change? And what may this crisis of values result in?

There is today a strong ecological concern among the European citizens. “95% of the European citizens consider the protection of the environment of “personal significance”.”

In line with those initiatives and statistics, last year’s COP21 in Paris was harshly criticised for its lack of decisive outcome. Thus, the objectives that had been set, albeit attainable, cannot be considered as convincing and do not show any change as to the obvious lack of will on the part of politicians to control monopolies in the fields of energy, life patenting or indeed any area of the consumer market. And it is precisely these monopolies that committed European citizens wish to hold in check. Hence a first imbalance as old as the concept of Society itself between what the people want and what politicians put into practice. Concurrently, a second imbalance stands out between ideas like Uberization and Consumer Capitalism legitimized by Liberalism.

Thus, there is still a strong link between the ecological and political crisis (be it a crisis of political action or representativeness). Yet, if 95% of European citizens feel personally concerned with these issues, how come there remains a political crisis?

The above figures should be tempered by the growing economic interest in the field of sustainable development which creates a substantial number of jobs worldwide, particularly in Europe with a focus on Sweden and Denmark. However, although some felt they had found ground for rejoicing, it seems they should temper their optimism with regards to the slack in “responsible consumption” (a fuzzy concept which deserves to be clarified) among the French population in 2015, as reviewed in the Ethicity Study. Incidentally, this consumer behaviour has also been described in the web encyclopedia www.encyclo-ecolo.com as driven by obligation rather than commitment. Concurrently, notes and figures from a 2013 survey by the Ministry in charge of environmental, energy and sea affairs show that 35% of the French population are climate sceptics.

These figures lead us to easily conclude that individuals act the way they are economically encouraged to act and not just the way they want or wish or should in order to be consistent with their words while claiming to be “personally concerned”. However, should they do so, the first imbalance above described between the people’s wishes and politicians’ actions would then stand as a discrepancy between what people are economically encouraged to do and what they would like to be economically encouraged to do.

The point is not to criticize the encouragement as such but rather to observe the lack of (and even the conflict with) individual ethics it reveals. Indeed, people deplore when they are not economically encouraged to act in compliance with what they claim is essential to them, thus proving that it is not. This is precisely where the moral question lies of each individual’s responsibility to achieve what he/she deems right. However, the problem might as well be reversed in considering that people have very good reasons (economic, socio-cultural…) to act as they are encouraged while holding their right to decide which way they wish to be encouraged, meaning they have the power to impose, prior to action, their own ethical views on upcoming (for instance environmental) issues. A good example can be found in the city of Copenhagen whose inhabitants greatly contributed to the limitation of car traffic through the development of cycling tracks and community carshare networks; even though most of them declare using bicycles for the money it allows them to save.

But how is it possible for 95% of European citizens to feel “personally concerned” by the above issues while the same percentage do not attempt to do more than what they are encouraged to do? Do they simply follow a straightforward free-rider logic? Or is it possible to find other reasons to explain such a behaviour?

We shall try to answer these questions in our next article.

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« L’avenir n’est pas ce qui va arriver mais ce que nous allons faire » écrivait

Bergson. Face au changement climatique, nous sommes aujourd’hui dans une situation qu’aucune phrase ne saurait mieux caractériser. Aussi, si la responsabilité de l’Homme est dorénavant établie, notamment par l’œuvre de Crutzen qui propose de penser cette nouvelle ère climatique sous le nom d’anthropocène du fait de notre culpabilité (mais aussi celle de Jonas) alors une nouvelle question devant surgir est celle du « qui » et du « comment ».

Nous nous proposons, dans les paragraphes qui suivent, de traiter de cette question de la crise écologique en tant que crise des valeurs se déclinant en crise de la politique puis crise des éthiques individuelles avant de revenir, dans un prochain article, sur ce qui génère cette crise des éthiques individuelles ainsi que sur les différentes possibilités pour palier aux conséquences néfastes d’un modèle économique et éthique qui épuise le vivant comme le non-vivant, épuise donc notre environnement, notre possibilité même de vivre.


Crise des référentiels de valeurs :

En bons penseurs, les philosophes, économistes, militants et autres scientifiques ont de nombreuses divergences qui ne sont pas structurelles mais bien essentielles, même si l’immense majorité s’accorde au moins sur la responsabilité de l’Homme dans le changement climatique. Ainsi, certains sont anthropocentristes, d’autres biocentristes (accordent une valeur intrinsèque à tout être vivant), d’autres encore écocentristes (accordent une valeur intrinsèque à tout écosystème, entités non-vivantes comprises).

Ultimement, ces questions posent problème dans la mesure où ces référentiels de valeurs sont des référentiels de l’agir humain. Pour cette raison, un auteur comme Naess critique fortement l’idée même d’une distinction entre Homme et Nature, propose une « écosophie ». D’autres, comme James Lovelock nous proposent une approche reconnaissant le caractère anthropique de notre planète et la nécessité de ce fait de lui accorder une valeur en tant que système dont nous ne sommes qu’un maillon infime, un maillon qui ne peut réaliser l’ampleur de son action s’il ne réalise pas l’ampleur du système. Au final, il est donc bien question de donner un positionnement fort aux concepts d’Homme et de Nature.

De telles pensées plutôt contemporaines se forment ainsi, en s’opposant directement à un anthropocentrisme que nous hériterions de notre tradition judéo-chrétienne. Un anthropocentrisme justifiant notre exploitation de la nature pour notre plaisir, et représentant dès lors, pour ces pensées, ce que l’Homme a de plus mauvais en lui.

Toutefois, nous ne pouvons déprécier une telle approche anthropocentriste sans la penser de manière pragmatique. Or, il nous semble bien, qu’ultimement, cette approche soit la plus susceptible de retenir l’attention de nos congénères. Tout d’abord parce qu’il n’est pas évident que la majorité soit capable de sortir de ce paradigme qui a une créance forte sur les structures mêmes de nos manières de penser comme de vivre. Ensuite, mais toujours dans la continuité, comment expliquer à une large communauté qui vit depuis toujours dans un capitalisme quasi décomplexé, que nous avons des devoirs envers une entité abstraite nommée Nature qui nous porterait en son sein ? Comment pouvons-nous convaincre à l’action par un tel discours l’Homme égoïstement rationnel et individualiste ?

Dans un tel contexte, nous devons donc reconnaître l’intérêt pragmatique de l’approche anthropocentriste qui vise à maintenir la planète en l’état afin que l’Homme puisse survivre. Un tel discours semble dans cette mesure bien plus convaincant pour la masse de consommateurs qui comprennent mieux l’urgence si leur possibilité de consommation est remise en question que si nous tentons de faire appelle à une éthique quotidienne pour des raisons d’ordre moral.

Pour cette raison il semble que nous pouvons effectivement parler d’une crise des valeurs également soulignée par Gardiner lorsqu’il affirme que le changement climatique représente une « tempête morale parfaite ». Aussi, sur de telles questions, si une approche pragmatique semble être la plus concluante possible pour ce qu’elle ouvre directement à l’évolution et non sur un débat stérile reposant, ultimement, sur des choix de valeurs divergentes, elle demeure toutefois regrettable pour ce qu’elle ne peut permettre de palier à cette crise des valeurs, la contourne au lieu de la solutionner.

Toutefois, comment se décline cette crise des valeurs et que fait l’Europe face au changement climatique ?



Que fait l’Europe ?


Il apparaît dorénavant de plus en plus d’initiatives concernant l’environnement :

« Aujourd’hui, le Programme d’action communautaire pour l’environnement Bien vivre, dans les limites de notre planète (le PAE, arrivé à sa 7ème édition) couvre aussi bien l’air, le milieu marin, la prévention et le recyclage des déchets, l’utilisation durable des ressources nouvelles, le milieu urbain, les sols que l’utilisation durable des pesticides »[2], et n’est bien entendu qu’un programme parmi tant d’autres.

Par ailleurs, sur ce même lien[3] concernant les politiques européennes et l’écologie, une statistique fait ressortir une volonté écologiste marquée chez les européens : « 95 % des Européens considèrent la protection de l’environnement « personnellement importante » ».

En parallèle de ces belles initiatives et statistiques, la COP21 qui a eu lieu à Paris l’an passé fut durement contestée pour son manque de résultats décisifs. Aussi les objectifs fixés s’ils ne sont pas improbables, ne sont pas probants pour autant, ne prouvent aucun changement dans l’apparent manque de volonté des classes politiques d’endiguer les différents monopoles, qu’ils soient énergétiques, de brevetage du vivant, ou simplement dans une section du marché de la consommation. Dans la continuité, nous proposons au lecteur de lire quelques articles d’économistes tels que le prix nobel d’économie 2014 Jean Tirole.

Or, c’est précisément contre ces monopoles que les européens investis veulent agir. Dans cette logique, se développe un première asymétrie, vieille comme le concept de société, entre ce que voudraient les peuples, et ce que font, en pratique, les classes politiques. De même, se développe une seconde asymétrie entre des idées dont l’ubérisation fait, entre autres, partie, et le capitalisme-consumériste justifié par le libéralisme. Nous laisserons ici de côté l’aspect de régulation économique de ces pratiques qui doit voir le jour. Toutefois, force est de constater que la mise en commun des biens devient aujourd’hui une condition quasi-nécessaire d’une approche qui se veut écologiste de part la terrible tragédie des communs[4] à laquelle nous devons faire face.

Quoiqu’il en soit, nous constatons donc toujours un lien fort entre crise des valeurs, crise écologique, et crise politique (qu’elle soit une crise de l’action politique ou de la représentativité).

Mais, si 95% des européens se sentent personnellement concernés par ces questions, comment se fait-il qu’une crise politique subsiste ? A quel titre peut-on considérer la crise des éthiques individuelles comme une déclinaison de la crise des référentiels de valeurs ?








Incitations économiques et écologie : entre laisser-aller et mesures effectives.



Les chiffres vus précédemment sont à tempérés avec l’intérêt économique que commence à susciter le secteur d’activité du développement durable qui crée de nombreux emplois dans le monde, notamment en Europe, tout particulièrement en Suède et au Danemark dont la ville de Copenhague (nous la conserverons comme exemple) est aujourd’hui lancée dans un projet pour devenir la première ville neutre en carbone au monde d’ici 2025.

Cependant, si certains pensaient pouvoir se réjouir, ils pourront déchanter face au recul de la « consommation responsable » (un concept au demeurant flou et à éclaircir) des français en 2015 relevé par l’étude Ethicity et décrite dans un article du site l’encyclo-écolo.com comme plus effectuée par contrainte que par adhésion. Dans la continuité nous découvrons par le biais des observations et statistiques mises à disposition par le Ministère de l’environnement, de l’énergie et de la mer, que 35% des français sont climato-sceptiques suite à une étude de 2013.

Toujours dans la même lignée :

« Ils ne sont que 44 % en Amérique du Nord et 51 % en Europe à avouer être influencés par les valeurs sociales et environnementales dans leur décision d’achat, contre 66 % dans le monde. Un chiffre qui n’est que de 44 % en France, bien loin de la Bulgarie (73 %), mais devant la Belgique (41 %). C’est un critère moins important que le rapport qualité-prix ou les promotions et bons de réduction, qui occupent les deux premières places de ce classement concernant les Français. »[5]



Au vue de ces chiffres, nous pouvons constater sans trop nous avancer que les individus font ce qu’ils sont économiquement incités à faire, et non uniquement ce qu’ils veulent, ou voudraient, ou devraient vouloir en toute logique de cohérence avec leurs propos, eux qui se sentent « personnellement concernés » rappelons le. Toutefois, s’ils le font, c’est alors que la première asymétrie décrite précédemment entre les désirs du peuple et la pratique des classes politiques tient plutôt, dans ce cas précis, en une divergence entre ce à quoi les peuples sont économiquement incités, et ce vers quoi ils aimeraient être incités économiquement.

Dans ce contexte, les incitations tant prônées par certains des grands auteurs de notre époque dont, notamment, John Rawls, laissent paraître un aspect néfaste. N’est pas question ici d’entrer dans un débat sur leur rôle mais bien plutôt de constater le manque d’éthique individuelle générée par les incitations, quant elles ne vont pas totalement à son encontre. Ainsi, les peuples regrettent de ne pas être économiquement incités à une chose à laquelle ils tiennent, et vont par la même aller à son encontre. En ce point précis se niche un questionnement d’ordre moral qui porte sur la responsabilité de chacun à accomplir ce qu’il croit être juste. Toutefois nous pourrions également renverser le problème, considérer que le peuple a de très bonnes raisons (économiques, socio-culturelles…) de faire ce à quoi il est incité et possède le droit de décider vers ce à quoi il veut être incité afin de pouvoir s’imposer préalablement à son action, une éthique incluant les problèmes futurs, environnementaux par exemple. Un droit qui est sans nul doute lié à son pouvoir de consommation qui doit donc retrouver son lien à l’éthique individuelle : si la crise des éthiques individuelles est le point critique de la crise des référentiels de valeurs, elle semble également être le point d’encrage nécessaire pour la solutionner.

De fait, la ville de Copenhague a su limiter, notamment suite à l’investissement de ses habitants, l’usage des automobiles en son sein, en augmentant la surface de pistes cyclables et de véhicules mis en communs (bien que nombreux sont ceux qui affirment ne pas le faire pour l’environnement mais bien pour le coût que cela représente)[6]. Une telle initiative est d’ailleurs récupérée par Paris qui entreprend, bien plus lentement, une démarche similaire.

Ainsi, nous constatons que les incitations économiques sur ces thèmes manquent : de l’apparition toujours attendue d’un prix comme d’un marché mondial du carbone afin d’aiguillonner les individus dans leurs choix énergétiques, au surplus d’utilisation de plastique pour lequel nous avons pourtant de nombreux substitues… Encore au début de l’été, l’Union Européenne a accordé un délai aux entreprises importantes dans le négoce de céréales pour qu’elles puissent changer, avec le temps, les produits toxiques qu’elles utilisent. Mais pouvons-nous accorder un délai à de telles entreprises pour que le changement se fasse à moindre frais pour elles (certainement pas pour les consommateurs qui y risquent leur vie) ?

Aussi, comment expliquer si 95% des européens se sentent « personnellement concernés » par ces questions que le même pourcentage n’entreprenne pas de faire plus, notamment par leur pouvoir de consommation, que ce pour quoi ils sont incités ? Répondent-ils à une logique unique qu’est celle du passager clandestin ? Ou pouvons-nous déceler d’autres motifs expliquant un tel comportement ?

Nous entreprendrons de répondre à ces questionnements, dans un prochain article.







Bibliographie :





Garett Hardin, « The Tragedy of Commons », Science, 13 décembre 1968, vol. 162, n°3859.



Naess Arne, Ecology, community and lifestyle : outline of an ecosophy, Cambridge ; New York, Cambridge University Press, 1989



Bonneuil Christophe et Fressoz Jean-Baptiste, L’événement Anthropocène : la Terre, l’histoire et nous, Paris, Ed. du Seuil, 2013.



Jonas Hanz, Le principe Responsabilité, une éthique pour la civilisation technologique, 1979 ; trad, française ed. du cerf, 1990.



Lovelock James, Gaïa a new look at life on earth, Oxford University Press, 1987



Gardiner Stephen M. A Perfect Moral Storn : The Ethical Tragedy of Climate Change, Oxford University Press, 2013.



John Rawls, Théorie de la justice, trad. C. Audard, Paris, Seuil, 1987.

John Rawls, Justice as fairness, The Philosophical review, vol. 64, n°2, avril 1958.



Gerald A. Cohen Si tu es pour l’égalité, pourquoi es-tu si riche ? Paris, traduit par Fabien Tarrit, Herman Editeurs, 2010.

Gerald A. Cohen, Incentives, Inequality and Community, Stanford, mai 1991.



Webographie :



http://www.consoglobe.com/typologie-consommateurs-responsables-2015-cg

http://www.ademe.fr/sites/default/files/assets/documents/ademe-lalettre-internationale-37-fr.pdf

http://www.transition-energetique.org/article-copenhague-ville-durable-103582249.html

http://www.encyclo-ecolo.com/Fran%C3%A7ais_et_le_d%C3%A9veloppement_durable#Fran.C3.A7ais_et_le_bien-.C3.AAtre_durable





http://www.service-civique.gouv.fr/missions/?utm_source=facebook&utm_medium=vignettes&utm_campaign=faiteslesaut&criteria%5Bis_overseas%5D=0&criteria%5Btaxons%5D%5B0%5D=5&criteria%5Bquery%5D=Environnement#search-options



http://transports.blog.lemonde.fr/2014/05/09/comment-copenhague-est-devenue-la-capitale-europeenne-du-velo/






[1] http://www.touteleurope.eu/les-politiques-europeennes/environnement.html


[2] http://www.touteleurope.eu/les-politiques-europeennes/environnement.html


[3] http://www.touteleurope.eu/les-politiques-europeennes/environnement.html


[4] Garett Hardin, « The Tragedy of Commons », Science, 13 décembre 1968, vol. 162, n°3859.


[5] http://www.consoglobe.com/marque-consommation-environnement-cg#Wg5mzruBHD8j4hhY.99


[6] http://transports.blog.lemonde.fr/2014/05/09/comment-copenhague-est-devenue-la-capitale-europeenne-du-velo/